Escursione dai sapori autunnali quella di domenica 5 ottobre in valle dell’Orco.
I laghi di Bellagarda si raggiungono attraversando affascinanti boschi e antichi alpeggi in parte ancora utilizzati. L’ambiente è stupendo, unico e incontaminato con panorami mozzafiato sul massiccio del Gran Paradiso da una parte e quello delle Levanne dall’altra.
Come sempre due i percorsi proposti, quello base con difficoltà (E) che conduce ai laghi di Bellagarda e quello avanzato con difficoltà (EE) che porta alla vetta della Punta di Pelousa.
Domenica 5 ottobre 2025 Ritrovo ore: x,xx. Partenza ore: x,xx – Punto d’incontro Piazza della Resistenza, di fronte al teatro La Bolla.
MODALITA’ DI ISCRIZIONE: per iscriverti vai alla pagina dedicata – clicca qui –
NB: Con l’iscrizione i partecipanti ACCETTANO il “Programma” dell’Escursione e le norma del “Regolamento” e DICHIARANO di essere edotti sulle note relative al “Dovere di Informazione e Consenso Informato”. I documenti sono disponibile in Sezione e sul sito internet del CAI di Bollate.
Consueta escursione per le famiglie e per chiunque voglia effettuare un breve percorso in tranquillità con dislivello contenuto e che termina alla spiaggia di Ceriale per l’ultimo bagno di stagione.
Sabato 20 settembre 2025 Ritrovo ore: 6,15. Partenza ore: 6,30 – Punto d’incontro Piazza della Resistenza, di fronte al teatro La Bolla.
Costi escursione: – SOCI: 28 € – NON SOCI: 36 €(il costo comprende le spese di assicurazione obbligatoria)
MODALITA’ DI ISCRIZIONE: per iscriverti vai alla pagina dedicata – clicca qui –
NB: Con l’iscrizione i partecipanti ACCETTANO il “Programma” dell’Escursione e le norma del “Regolamento” e DICHIARANO di essere edotti sulle note relative al “Dovere di Informazione e Consenso Informato”. I documenti sono disponibile in Sezione e sul sito internet del CAI di Bollate.
“Avevo un’idea per fine luglio, visto che al lavoro c’è poco da fare. Che ne diresti di quest’itinerario che parte dalla diga del lago Serrù e ci porta a fare almeno tre cime sopra i tremila in due giorni?”.
“Cavoli, è proprio quello che anch’io stavo adocchiando da fare quest’estate. Ed anch’io al lavoro oramai quello che dovevo dare ho dato e, come sai, oramai non ho praticamente più nulla da aggiungere. Dai andiamo!”
“Ok, ho prenotato il bivacco per il 5 e 6 agosto, il tempo sembra bello.”
“Perfetto, la corda la porti tu, io porto i ferri; ricordiamoci i ramponi, la picozza ed i chiodi da ghiaccio, perché non sappiamo bene come sarà lassù”.
“Ok. Allora ci vediamo alle 6, passo a prenderti ed andiamo con la mia macchina”.
“Va bene, a domani”.
E’ così che inizia la nostra avventura, due battute messe lì per gioco e via, si decide di partire.
E’ l’alba del 5 agosto e ci lasciamo la canicola della pianura milanese per addentrarci nella valle del Parco del Gran Paradiso, il cielo limpido e nessuno per strada. Ci fermiamo al bar di Ceresole per gustarci un meritato caffè e prendere le chiavi del bivacco che ci ospiterà per la notte seguente. Fa freddo. Qui fa sempre freddo.
Lasciamo l’auto poco più in alto, nei pressi del lago e nemmeno in un’ora siamo al bivacco dove lasciano il superfluo per ripartire subito alla volta della prima cima, il Grand Cocor, 3.034 m.
Ci arriviamo abbastanza velocemente, dopo aver risalito un sentiero attrezzato a tratti privo di protezioni e particolarmente esposto, ma nulla di invalicabile o difficile da impedirci si arrivare in cima per pranzo. Siamo oltre i tremila e gustiamo, oltre al cibo, le vette che ci sormontano tutt’attorno e che ci inducono ad osare oltre, visto che stiamo bene, nonostante il lungo viaggio e la sveglia mattutina.
“Cima della Vacca? E’ abbastanza vicina, anche se da qui dobbiamo scendere alcune centinaia di metri in Francia e trovarci un sentiero che non c’è su nessuna mappa”.
“Va bene, allora partiamo subito, così cerchiamo di rientrare al bivacco prima che faccia buio”.
Iniziamo la discesa alla ricerca di una traccia che non c’è, ma che possiamo facilmente intuire orientandoci a vista ed avendo studiato a casa sulle mappe il territorio che ci ospita. Ecco, s’inizia a salire alla ricerca del giusto punto d’ingresso del ghiacciaio che oramai abbiamo di fronte. Non è molto grande e la limpida giornata ci aiuta in tutto. Calziamo i ramponi ed andiamo via slegati, non s’intravvedono pericoli, il ghiacciaio è quasi privo di neve e non s’intravvedono insidiosi crepacci. Lo percorriamo tutto prima di uscire su un ripido pendio che ci conduce al colle che divide la Cima della Vacca dalla Cima D’Oin. Siamo di nuovo già oltre i tremila e ci aspetta la parte più impegnativa su roccia che si presenta a sfasciumi. Qui non ci sono protezioni. Qualche passaggio di II° molto esposto ed in breve siamo alla vetta per una vista spettacolare a 360° che abbraccia dal Monte Bianco, al gran Paradiso e ci fa dominare l’intera Val d’Isere da un lato e la valle dell’Orco dall’altro. Siamo sulla Cima della Vacca, a 3.186 m.
“E’ fatta. Due vette in un giorno”. “Ecco lassù la Grande Aiguille Rousse che faremo domani.” “Bella alta, vista da qui, anche se sono solo trecento metri più di questa cima”.
“Si, ma avremo da attraversare ben 3 ghiacciai per arrivarvi ed una rampa di salita con pendenze fino a 50°”.
“Sarà un bel metti e togli i ramponi e secondo me qualche cosa di misto da fare, visto il versante e l’altezza cui arriveremo. Dai rientriamo che sennò facciamo tardi”.
Inizia così la lunga discesa verso il bivacco. E’ pomeriggio e dobbiamo ancora riattraversare due ghiacciai con la massima attenzione. Decidiamo di legarci per sicurezza. Alle 18 siamo al bivacco, finalmente ci si può riposare, non prima di essersi vagamente lavati con l’acqua ghiacciata del torrente che scorre lì fuori. Pochi minuti di riposo ed è ora di prepararci per la cena. Brodo, ravioli, formaggio, salame, un dolce, qualcuno ha lasciato una Pepsi e del vino in cartone in bivacco. Abbiamo proprio tutto; siamo sazi. Abbiamo ancora qualcosa da gustare: la luna che si fa spazio giocando a nascondino tra le nubi e che ci porta al suo tramonto precoce per lasciare spazio alle stelle. Tante, immense, come non vediamo mai. Lassù il buio non esiste, c’è la luce eterna che l’occhio riesce sempre a vedere. Con la luna scende anche il freddo della notte, non intenso ma che induce a pensare al giorno dopo ed al lungo percorso che ci aspetterà. Andiamo in branda. Si sonnecchia, tra rumori di animali della notte che si muovono all’esterno ed il pensiero fisso sul percorso da fare e che sappiamo a memoria.
Le 7,00; si parte. Ripercorriamo il tratto del giorno precedente fino al Passo della Vacca, dopo aver risalito quel che rimane dell’omonimo ghiacciaio, oramai vittima inesorabile dei cambiamenti climatici. Non fa freddo e qualche nube già s’intravvede. Segno di un cambiamento del tempo in arrivo che solo dopo sapremo aver anticipato le sue mosse.
Scendiamo sul lato francese e cavalchiamo la prima lingua del Glacier des Sources De l’Isere; lo attraversiamo tutto, alla ricerca di un percorso agevole che troviamo a fatica. Nessuna traccia di passaggio. Dobbiamo inventarci il percorso. Eccoci ora sul naso di roccia che scende direttamente dalla vetta dell’Aiguille Rousse e che divide il ghiacciaio che stiamo facendo in due parti oramai distinte. Troviamo qualche rarissimo omino ad indicare che siamo usciti nel punto giusto tra le rocce. Calziamo di nuovo i ramponi ed entriamo ora nel cuore del ghiacciaio attraversandolo in diagonale per presentarci sotto la lunga e ripida rampa che ci porterà al colle che divide la Petite dalla Grande Aiguille Rousse. L’uscita dal ghiacciaio appare difficile, anche qui tra sfasciumi semovibili. Ma dal colle il percorso si fa agevole, anche se s’inizia a sentire leggermente l’effetto della quota. Mezz’ora e siamo alla vetta. E tre, anche questa è fatta e tocchiamo i 3.483 m della Grande Aiguille Rousse. Spettacolo immenso ma tutt’attorno si rincorrono le nubi. Pochi attimi, forse giusto per farci vedere dove siamo finiti e poi tutto si chiude. Ci affrettiamo a scendere, i ghiacciai sono vasti e sotto di noi è tutto coperto di nubi. Mangeremo qualcosa più giù, prima mettiamoci in sicurezza. Il ripido pendio di salita sembra più insidioso quando lo facciamo in discesa, attorniato di crepacci di cui non si vede il fondo. Forse è davvero così tanto ripido e prima non ce ne eravamo poi resi tanto conto, lo stimiamo in 50°, come ci eravamo detti. Siamo fuori da questo primo ghiacciaio, ci meritiamo un boccone ed un po’ di riposo.
Mezz’ora, forse di meno, e dobbiamo ripartire perché le nubi oramai coprono quasi tutto. Andiamo; abbiamo un ghiacciaio un po’ complicato da fare e dobbiamo aggirare, risalendo, la lingua terminale che nel percorso di andata ci aveva dato del filo da torcere, facendoci perdere un po’ di tempo. Ora riusciamo ad aggirarla in modo corretto ma purtroppo la nebbia è calata sul ghiacciaio. Tutto appare piatto e sfumato. Ci muoviamo sempre legati ma fatichiamo a trovare il punto di uscita che ci conduce al Colle della Vacca.
“Siamo troppo alti”. “No siamo bassi”. “Proviamo più su”. “Torniamo indietro un pezzo e poi tagliamo di là”.
Eccoci, finalmente dopo alcuni tentativi ed affidandoci all’intuito (sempre ben affilato), troviamo il punto di uscita dalla ragnatela di crepacci che non volevano lasciarci andare. In breve raggiungiamo il colle a noi famigliare.
Ci rimane un ultimo ghiacciaio, il fazzoletto che si lascia cadere dal versante nord della Cima della Vacca. Dal cielo qualche goccia si fa sentire, poca roba. Con passo deciso scendiamo rapidamente di quota. Il Pian della Ballotta ci fa intravvedere i suoi prati verdi, siamo quasi al bivacco. Un tratto di sentiero attrezzato ed è fatta. Entriamo nel bivacco a riprendere le nostre poche cose che vi abbiamo lasciato e di corsa ripartiamo per il rientro, con le nubi che inesorabilmente si abbassano ora appena poco sopra le nostre teste. Siamo veloci, nonostante la stanchezza. Siamo contenti, l’obbiettivo che ci eravamo proposti lo abbiamo raggiunto. Due giorni nella natura, tra cime, rocce e ghiacciai. Due giorni di alpinismo, come piace a noi. La birra ce la siamo proprio conquistata e ce la godiamo sotto un pergolato, mentre fuori inizia a piovere. Giusto in tempo.